Villa della Rinchiostra

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foto della Villa della Rinchiostra

Durante il governo del duca Carlo II Cybo Malaspina, nei tre ultimi decenni del Seicento, fu costruita la villa della Rinchiostra, nella pianura verso la marina, dove la signoria possedeva una “vigna”. Sulla decisione probabilmente contò non poco la volontà della principessa Teresa Pamphili, giunta da Roma in sposa del duca. La villa sorse così nella campagna divenendo un luogo di soggiorno, ricco dei candidi marmi apuani.

Un alto muro delimitò la nuova proprietà circondando sia l’edificio sia l’ampio parco attorno. L’incarico di disegnare ed erigere la villa fu affidato all’architetto di corte Alessandro Bergamini che ripropose il lessico di ‘famiglia’ già evidenziato al palazzo ducale di Massa. L’intenzione ispiratrice del progetto fu quella mirante ad un edificio non di rappresentanza ma di utilizzo privato; elemento reso ancora più evidente dalla presenza non di una ma di due facciate che dovessero assecondare il gusto della committenza e non l’etichetta di corte.

La maggiore ricchezza e bellezza è riscontrabile nell’architettura esterna dell’edificio, con le mosse volumetrie tese a una funzione di belvedere verso la costa e verso la montagna, con le due propaggini pentagonali, le terrazze, le due torrette e la profusione di marmi che modulano i loggiati, con ampio uso di colonne e forti  riquadrature.

Il gioco cromatico ripete il contrasto tra i toni bianchi dei marmi e il forte rosso della tinteggiatura. Il fronte occidentale più severo è caratterizzato dall’ingresso con colonne tuscaniche e da un terrazzo. Il fronte orientale da un vestibolo a tre archi con scalinate laterali di accesso al piano nobile, ampio e aereo loggiato, colonne poggianti su balaustra.
L’interno vede come leitmotiv il ripetersi dei portali sui cui architravi campeggiano i nomi dei membri dei committenti, soprattutto Teresa Pamphili colei che aveva “fatto nascere quella deliziosa villa”.
Teresa morì nel 1704 e, in una sorta di continuità femminile, il suo ruolo fu assunto da Ricciarda Gonzaga, coniuge di Alderano Cybo, che volle fare della villa il suo ‘buen retiro’. Furono apportate migliorie soprattutto al parco, con un nuovo disegno, con la piantumazione di nuove specie arboree, e la collocazione di statue e busti in marmo. Furono anche edificate le scuderie, oggi casa di riposo per anziani.  Ma già nel 1722 iniziò lo spoglio delle statue presenti in villa. Fu l’inizio di un periodo di decadenza, accentuata poi dall’occupazione napoleonica della città, per la quale si rischiò l’asportazione in toto degli arredi marmorei dell’edificio: balaustre, colonne, cornici, vasi.
Dall’Ottocento inizia per la villa, a dimostrazione della sua bellezza, un susseguirsi di proprietari prestigiosi: forse direttamente per intercessione di Elisa Baciocchi, Hector Sonolet, e poi, quasi a metà secolo, Carlo Lodovico di Borbone. Questi operò un ripristino e riqualificazione dell’edificio e del parco con l’inserimento, secondo il gusto romantico, di alberi d’alto fusto che andarono ad inserirsi sull’impianto del giardino di tradizione italiana. Seguirono poi le presenze tutt’oggi verificabili di lecci, platani, cipressi, tassi, eucalipti, canfore, cedri e limoni.
Dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento la villa passò a vari proprietari, tra cui la famiglia Robson e alcuni istituti religiosi. Infine il parco fu diviso con l’istituzione del dopolavoro Dalmine, per poi oggi essere ricomposto nella proprietà comunale. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio subì notevoli danni sotto i bombardamenti, per essere infine ricostruito seguendo il progetto originario.

Oggi la villa è sede del Museo civico Raccolta "Gigi Guadagnucci", scultore massese del '900 di fama internazionale.

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Data ultima modifica: 
Giovedì, 24 Dicembre, 2020